L'Europa che fa la differenza
Più incisive e sostenibili le politiche di differenziazione e riciclo dei rifiuti urbani e degli imballaggi nel Vecchio Continente. Nella Ue a 15 gli scarti però aumentano vertiginosamente, meno nell'Unione a 25. Germania esempio virtuoso: in pochi anni meno 16% di rifiuti in discarica a fronte solo di un + 4% avviato nei forni. Le potenzialità della raccolta dell'organico- da EcosportelloNews
22 May, 2006
di Alina Lombardo
Fallimento. Non c'è parola più appropriata per definire i risultati della politica di gestione dei rifiuti nell'Europa dei 25. Uno degli obiettivi fissati nel 5° Programma d'Azione era la riduzione e la stabilizzazione della produzione pro capite di rifiuti solidi urbani al livello della media europea del 1985: 300 kg entro il 2000. Oggi, invece, si legge nel rapporto dell'Agenzia europea per l'Ambiente The european environment. State and outlook 2005, l'ammontare annuo pro capite dei rifiuti solidi urbani prodotti nella maggior parte dei paesi europei occidentali ha superato i 500 kg. Obiettivo clamorosamente mancato, dunque. Al punto che nel 6° Programma d'Azione comunitario non si parla neanche più di obiettivi di riduzione ma si auspica, genericamente, il raggiungimento di una significativa e generalizzata riduzione del volume di rifiuti prodotti attraverso "una migliore efficienza delle risorse e una migliore gestione delle risorse e dei rifiuti ai fini del passaggio a modelli di produzione e consumo più sostenibili".
Nel frattempo, la produzione complessiva annua di rifiuti in Europa ha raggiunto circa 1,3 miliardi di tonnellate (in Italia nel 2004 ha toccato i 31,1 milioni di tonnellate), di cui circa 40 milioni di tonnellate sono rifiuti pericolosi. Una cifra considerevole, risultato finale di un crescendo che, dal 1990, si ripropone di anno in anno senza battute d'arresto: si calcola che tra il 1990 e il 1995 l'ammontare totale sia cresciuto del 10% e si prevede che intorno al 2020 l'aumento della produzione dei rifiuti, rispetto al 1995, possa raggiungere quota +45%. Le attività economiche maggiormente responsabili della produzione di queste montagne di rifiuti sono: settore edile, agricoltura, miniere, industria manifatturiera.
I rifiuti rappresentano una perdita enorme di risorse sotto forma di materia ed energia. La quantità di rifiuti prodotti può essere dunque vista come un indicatore dell'efficienza delle nostre società, in particolare in relazione all'utilizzo delle risorse naturali e alle operazioni di trattamento. Tra le varie tipologie di rifiuti, quelli urbani rappresentano il miglior indicatore per descrivere lo sviluppo generale della produzione dei rifiuti e del loro trattamento nei paesi europei. Per due ragioni essenziali: perché tutti i paesi raccolgono dati sui rifiuti urbani e sono quindi l'unico segmento per il quale sono disponibili dati completi aggiornati; perché costituiscono il 15% del totale dei rifiuti.
Produzione: in Germania la montagna più alta
Confermando l'andamento generale della produzione dei rifiuti in Europa nell'ultimo decennio, anche il segmento degli urbani registra un aumento costante. Aumento che risulta molto più marcato nei 15 Paesi della Ue rispetto ai 10 Paesi annessi. Il dato complessivo sulla produzione dei rifiuti urbani nella Ue risulta dunque differente a seconda che lo si riferisca all'Unione europea a 15 o a 25.
Nel 1995, la produzione pro capite nell'Ue-15, si legge nel "Volume sui rifiuti urbani del Rapporto Rifiuti 2005" dell'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente (Apat) e dell'Osservatorio Nazionale sui Rifiuti (Onr), "era pari a circa 482 kg/ab. anno (457 kg nell'Ue-25) ed è aumentata fino a raggiungere nel 2003 circa 577 kg/ab. anno (534 kg nell'Ue-25) con un tasso di incremento del 19% (16% nell'Ue-25)."
Secondo la "classifica" di Apat-Onr, i primi posti per la produzione di rifiuti urbani nel 2002 spettano alla Germania (52.772.000 ton, +20% rispetto al 1995), seguita da Regno Unito (35.535.000 ton, +22%), Francia (33.024.000 ton, +16%) e Italia (29.864.000 ton, +15%).
La classifica cambia se si analizza il dato della produzione di rifiuti urbani in rapporto al numero di abitanti: al primo posto si colloca l'Islanda (1.022 kg/ab anno) seguita da Cipro (709), Irlanda (698), Norvegia (677), Svizzera (654) Germania (640), Paesi Bassi (615), Austria (611) Regno Unito (600), Spagna (588), Francia (557), Italia (521) ecc.
Quadro poco rassicurante
Da qualunque parte si prendano, i dati non offrono un quadro rassicurante. "Soprattutto se lo si guarda in prospettiva" commenta Mauro Albrizio, direttore dell'ufficio europeo di Legambiente, vicepresidente dello European environment bureau, l'organismo che riunisce le associazioni ambientaliste europee: "Se questa è la situazione adesso, figuriamoci cosa succederà con il procedere del processo di sviluppo dei Paesi del Centro e dell'Est Europa dove, lo hanno imparato da noi paesi del Nord del mondo, quando cresce l'economia crescono i danni".
Vero. Però esistono paesi del Nord che sembrano aver imparato la lezione e guidano la classifica dei cosiddetti "virtuosi", come la Germania per esempio. "Sì - ammette Albrizio - però utilizzano con troppa disinvoltura l'incenerimento e spesso senza neanche recupero di energia. A ciò si deve aggiungere il fatto che la revisione della normativa europea in tema di gestione dei rifiuti (all'argomento abbiamo dedicato lo speciale "Rompete le righe", EN n. 10, ndr) punta allo smantellamento della gerarchia e ad una deregulation che invece di trovare soluzioni concrete ed efficaci alla questione rifiuti in realtà vuole solo condonare la grande massa di procedure di infrazione in corso".
Le "punte di eccellenza" italiane
Scelte politiche, insomma, più attente alle esigenze delle industrie che a quelle di tutela ambientale. "Sì ma, per fortuna, non mancano alcune eccezioni. C'è un pezzo del mondo industriale che punta a investire molto in tecnologie e design per realizzare politiche produttive incentrate sul risparmio. In Italia questo percorso è più difficile da seguire, perché la collusione tra industria e politica è molto più forte che in altri paesi. Le imprese italiane sono quelle che hanno sostenuto il governo Berlusconi nella deregulation. Certo anche da noi non mancano le eccezioni, produttori che fanno scelte più virtuose; ma lo fanno perché sono estranei a quel sistema e, proprio per questo, riescono a incidere poco sul sistema stesso".
Allora: da dove partire per tentare di cambiare le cose? "Se, a livello nazionale, la politica di gestione dei rifiuti non ci colloca in una buona posizione in Europa - conclude Albrizio - a livello territoriale, di piccole e medie amministrazioni, che poi sono quelle che davvero gestiscono i rifiuti, abbiamo delle punte di eccellenza da fare invidia persino alla Germania. Basta scorrere il nostro elenco, tutt'altro che scarno, dei Comuni ricicloni".
Il ruolo degli imballaggi: più recupero e riciclo
Torniamo alle montagne di rifiuti che produciamo. Un ruolo non irrilevante spetta ai rifiuti da imballaggi. Secondo quanto riportato in "The European environment. State and Outlook 2005" dell'Agenzia europea per l'Ambiente (Eea), si registra un aumento generalizzato nella produzione pro capite di imballaggi immessi sul mercato, il che non è in linea con l'obiettivo primario della Direttiva sugli imballaggi e sui rifiuti da imballaggio che, al contrario, pone come obiettivo la loro riduzione. Le media nell'Ue-15 nel 2002 è salita a 176 kg/pro capite anno (contro i 160 del 1997). A guidare la classifica dei produttori delle maggiori quantità di imballaggi sono: Irlanda (217 kg/pro capite anno), Francia (206), Italia (197), seguite da tutti gli altri, con le sole esclusioni di Regno Unito, Danimarca e Austria, unici paesi che hanno ridotto la loro produzione di imballaggi.
Per contro, è positivo l'andamento della diffusione di recupero e riciclo dei rifiuti da imballaggio. L'obiettivo minimo europeo di riciclare il 25% dei rifiuti da imballaggio nel 2001 è stato ampiamente superato: nel 2002, infatti, il tasso di riciclaggio nell'Europa dei 15 è stato del 54%, e sette paesi (Germania, Belgio, Austria, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca, Lussemburgo) hanno addirittura già raggiunto l'obiettivo minimo del 55% fissato per il 2008. Buona la performance italiana sul recupero che, secondo i dati del CONAI, nel 2005 tocca quota 7.744kton, pari al 65,1% di recupero complessivo, percentuale ben al di sopra, e raggiunta con largo anticipo, di quella minima (60%) prevista dalla direttiva comunitaria per il 31 dicembre 2008.
Bene, ma rimane il fatto che i rifiuti aumentano. Non c'entrerà forse che, paradossalmente, nella generalizzata consapevolezza che tanto ormai gli scarti sono recuperati e riciclati si fa meno attenzione a quanti rifiuti si producono? "Lo escluderei -ci risponde Corrado Scapino, presidente di Fise Unire, l'associazione che riunisce le imprese di recupero e riciclaggio dei rifiuti - direi piuttosto che le politiche di contenimento dei rifiuti non funzionano. Il principio "chi inquina paga" è troppo poco incisivo, soprattutto in Italia: imprese e sistema distributivo sono poco premiate, e quindi poco incentivate, a ridurre la quantità della componente di scarto di un prodotto e, nel contempo, è troppo bassa e soggetta a controlli a maglie larghe, la penalità per chi non riduce". La soluzione al problema, dunque, per Scapino è irrigidire la politica di controllo della produzione di rifiuti, in particolare nei settori di imballaggi e industria dell'automobile, con un sistema che incentivi o penalizzi produttori e distributori a seconda dei loro comportamenti.
Gestione: ancora la Germania la prima della classe
Ma dove vanno a finire queste montagne di rifiuti? Discarica, incenerimento con o senza recupero di energia, riciclo: sono queste le tre destinazioni più gettonate. Sebbene in diminuzione, lenta ma costante (dal 64,3% del 1995 al 48,9% del 2003), il ricorso alla discarica continua ad essere la scelta più diffusa. Nel 2003, si legge ancora nel Rapporto Apat Onr, "sono stati smaltiti in discarica 261 kg/ab. anno (Ue-25) con un tasso medio di rifiuti conferiti pari a -11% rispetto al 1995, mentre 92 kg/ab. anno sono stati inceneriti, con un tasso medio di incremento del 35% rispetto al 1995. L'incenerimento dei rifiuti urbani, con o senza recupero di energia, è utilizzato in 10 Stati membri (con un minimo del 2,8% e un massimo del 53%) mentre Estonia, Grecia, Lituania e Malta non lo applicano affatto". Ad eccezione della Germania, che dal 1995 al 2003 ha ridotto dal 46% al 19,9% la quantità di rifiuti urbani conferiti in discarica a fronte di un aumento del ricorso all'incenerimento di soli 4 punti percentuali (dal 18,2% al 22,9%), il dato complessivo dello smaltimento dei rifiuti urbani mostra, conclude Apat Onr "che tanto maggiore è il ricorso all'incenerimento tanto minore è il ricorso alla discarica".
A questo proposito, però, "sarebbe scorretto non considerare il ruolo che la raccolta differenziata dei rifiuti biodegradabili gioca nell'utilizzo della discarica come metodo di smaltimento" precisa Marco Ricci, della Scuola di Agraria del Parco di Monza. Una valutazione complessiva dello stato dell'arte sull'applicazione della Direttiva comunitaria sulle discariche (la 1999/31/Ce) nella gestione dei rifiuti biodegradabili per ridurne lo smaltimento in discarica è in corso a livello comunitario. Alcune informazioni, però sono già disponibili e forniscono un quadro che può essere così sintetizzato: molto$diffusa è la raccolta differenziata di imballaggi biodegradabili (carta e cartone), anche perché i costi di recupero sono spesso divisi con i produttori di imballaggi consentendo così di coprire parzialmente i costi della raccolta.
Il ruolo della raccolta dell'organico
Anche la raccolta differenziata di scarti di alimentazione e scarto verde è ormai ben consolidata in tutta l'Europa centrale; inoltre, sta crescendo rapidamente in diversi paesi (Italia, Spagna, Regno Unito) e mostra di essere efficace nella riduzione della frazione putrescibile contenuta nei rifiuti urbani. "Più difficili le valutazioni e le analisi dei costi. Tuttavia - precisa Ricci - alcuni rapporti su casi di best-practice mostrano che il passaggio dalla raccolta mista di rifiuti urbani alla raccolta differenziata di rifiuto biodegradabile (compreso l'imballaggio) può essere effettuato a costi competitivi".
Quanto agli obiettivi fissati dalla Direttiva discariche, alcuni stati membri dell'Ue sono già oggi in grado di raggiungere gli obiettivi di riduzione del rifiuto biodegradabile in discarica (65% entro il 2016). D'altra parte - aggiunge Ricci - il divieto di smaltire in discarica rifiuti urbani ad alto contenuto calorico, o l'obbligo al loro pretrattamento, sono misure che contribuiscono in modo significativo a raggiungere gli obiettivi di riduzione di rifiuto biodegradabile previsti dalla Direttiva. Le forme di pretrattamento di maggiore uso sono l'incenerimento (la mineralizzazione del rifiuto biodegradabile) e il trattamento meccanico. Quest'ultimo, in particolare, si mostra spesso un elemento chiave nelle strategie nazionali; a differenza dell'incenerimento, infatti, assicura la necessaria flessibilità al sistema, molto importante in quegli stati membri (la maggior parte) in cui il sistema è sottoposto a cambiamenti nella qualità e quantità di rifiuto residuo. "Notevole - conclude Ricci - il contributo del compostaggio domestico per ridurre l'ammontare di rifiuto alimentare e verde: ampiamente applicato in diversi stati, registra casi di best pactices (in Austria, Germania, Italia, Danimarca ecc. ) nei quali la concentrazione di rifiuto biodegradabile nel residuo si riduce a livelli al di sotto del 15%".
Non solo il compostaggio, ma tutto il riciclo in generale rappresenta, dal punto di vista della tutela ambientale, senza dubbio uno dei sistemi più efficaci e, proprio per questo, incentivato dall'Ue. La sua utilizzazione, tuttavia, è molto difforme sul territorio europeo e segna percentuali comprese tra il 2 e il 32%! "Nel 2003 - precisa il Rapporto Apat Onr - il tasso medio di riciclaggio dei rifiuti domestici nell'Ue è stato del 16%. Tra i primi posti si collocano Germania (32%), Svezia e Norvegia (31%), Belgio (30%), Finlandia (28%), Danimarca (22%), Irlanda (18%), Francia (14%), Italia (13%), mentre ben 8 paesi sono lontani dal raggiungere il tasso del 10% (Grecia, Islanda, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Portogallo, Slovacchia, Ungheria)".