Greenpeace: «Nel 2030, le rinnovabili possono arrivare al 68% in Europa»
L'associazione ambientalista ha pubblicato un dossier in cui vengono ipotizzati due differenti scenari per il futuro delle politiche energetiche internazionali. Nel primo, gli investimenti consentono uno sviluppo notevole delle fonti “verdi”, mentre nel secondo sono le smart grid ad essere implementate maggiormente
07 July, 2011
Nel 2030 le fonti rinnovabili potrebbero arrivare a coprire il 68% del fabbisogno energetico europeo, ma perché questo accada è necessario un impegno finanziario maggiore da parte dei governi. Lo rivela l'ultimo rapporto di Greenpeace, intitolato “Revolution: battle of the grids” (vedi allegato), che traccia due possibili scenari per lo sviluppo delle fonti energetiche “pulite” da qui a vent'anni. Il primo, appunto, prevede che gli Stati investano massicciamente nel settore e nel miglioramento della rete di distribuzione, destinando complessivamente almeno 74 miliardi di euro allo sviluppo delle rinnovabili per il ventennio successivo (2030-2050). In questo caso, l'energia “low-carbon potrebbe raggiungere un livello significativo, considerando che già negli ultimi anni sono stati compiuti passi importanti in questa direzione. «In Spagna oggi le fonti rinnovabili forniscono già il 40% dell'elettricità, in Danimarca superano il 28%, l'Italia è oltre il 23%, in Germania il parlamento ha deciso di compensare la chiusura delle centrali nucleari con un aumento dell'energia fornita dal sole e dal vento – ha dichiarato il direttore di Greenpeace, Giuseppe Onufrio - Nel complesso dell'Europa è ipotizzabile che le rinnovabili arrivino fino al 68% nell'arco di vent'anni».
Una prospettiva di certo allettante. Il rapporto pubblicato dall'associazione ambientalista, però, traccia anche un altro scenario, meno incentrato sulle rinnovabili ma più favorevole allo sviluppo delle cosiddette “smart grid”, ovvero le reti intelligenti in grado di trasferire l'energia dal luogo di produzione ad altri siti. In questo caso, il numero dei nuovi impianti installati ogni anno potrebbe iniziare a diminuire, ma allargando la rete fino al Nord Africa, si potrebbe ad esempio trasportare in Europa l'energia prodotta e accumulata nei deserti. Per arrivare a un risultato del genere, comunque, occorrerebbero investimenti ancora più cospicui, che Greenpeace stima in oltre 580 miliardi di euro. La smart grid, tra l'altro, risultano particolarmente adatte alla trasmissione dell'energia a basso tenore di carbonio, mentre si prestano meno a lavorare con le fonti fossili e con l'energia atomica. «Il vero punto debole del sistema delle smart grid sono carbone e nucleare, perché hanno una produzione poco flessibile – ha precisato Onufrio a questo proposito - Se la loro quota dovesse rimanere al livello attuale, in Europa si rischiano di perdere 32 miliardi l'anno di energia prodotta dal sole e dal vento, che non potrebbe essere utilizzata. Invece usando come stabilizzatori del sistema gas, geotermia, biomasse, cioè fonti flessibili, si può ottenere il massimo della convenienza economica in uno scenario di rinnovabili molto avanzato».